Dicono che la società moderna sia quella della gratificazione istantanea.
In pochi secondi possiamo soddisfare molti nostri bisogni. Con un click.
Acquistare un paio di scarpe. Prenotare un viaggio. Ordinare cibo su Deliveroo. Vincere la noia scrollando Tik Tok.
Questo però ci rende sempre meno pazienti. Vorremmo tutto e subito in ogni ambito.
Anche nella corsa. Che in questo però è una maestra di vita. Se ne frega di quello che vogliamo noi.
Ci insegna che per migliorare serve tempo, pazienza, costanza. Per aumentare i chilometri ci vogliono mesi, a volte anni.
E se non hai una gratificazione istantanea, ti chiedi chi te lo fa fare no?
E forse inizi a fare più spesso le cose in cui credi davvero.
Quelle che ti appassionano. Quelle che fanno stare bene te e gli altri.
A prescindere dal risultato.
Accettando che la gratificazione potrebbe non arrivare.
O arrivare 45 anni dopo, come nel caso del matematico John Nash.
E siccome domani non potrò scrivervi la newsletter, arricchisco quella di oggi con questa storia. Ok? Dai, un altro minuto insieme. Aggiungi del caffè dalla moka.
Parlavamo di John.
Classe 1928, da bambino i rapporti sociali non erano il suo forte. Goffo e solitario, si rifugiava nei libri.
Un genio a volte incompreso anche dagli stessi insegnanti.
Poi nel 1948 si laurea in matematica. Vince una borsa di studio all’Università di Princeton.
Preparando il dottorato stabilisce i principi matematici della teoria dei giochi, scrivendo un saggio che 45 anni più tardi gli sarebbe valso il Premio Nobel per l'economia.
Un lasso di tempo enorme.
Durante il quale la sua vita ha preso una piega inaspettata. A trent’anni gli diagnosticano la schizofrenia paranoide.
Inizia a comportarsi in maniera incomprensibile. Viene deriso e man mano abbandonato da tutti.
La mente diventa un terribile nemico. Allucinazioni. Vede complotti ovunque. Verrà rinchiuso in un ospedale psichiatrico dove per anni subirà diverse sedute di elettroshock.
Supportato dalla moglie Alicia riuscirà poi, smettendo di prendere i farmaci, a gestire la malattia. Addirittura riprendendo a insegnare.
E vincendo nel 1994, ormai 64enne, il Premio Nobel. Ottenendo il riconoscimento che gli spettava.
Alcune stelle, per brillare, hanno bisogno di tempo.
alla prossima (la newsletter torna venerdì 26 aprile)
Andrea
grandi prestazioni cognitive in un senso non indicano purtroppo grande consapevolezza, ma al contrario un disequilibrio nelle risorse disponibili, come avviene nello spettro autistico
questo è un caso analogo, bene e bello abbia trovato un riconoscimento dalla società e un sostegno dalla moglie, elementi che indicano che non siamo mai soli ma membri di un tutto che ci avvolge e comprende
Bravo Andrea, trovi sempre storie magnifiche per farci iniziare la giornata più forti...grazie