Come sarebbe andata a finire, dando il massimo? Capita di chiederselo.
Spesso l'istinto di sopravvivenza (o la pigrizia) ci portano ad andare più piano di quello che potremmo.
A ragionare, rallentare, dosare le forze.
Un comportamento che accomuna circa 8 miliardi di persone, tranne Zach Miller 😎, lui corre senza fare calcoli.
«Go-Big or Go-Home» la sua filosofia.
Figlio di missionari americani, nato in Kenya ma cresciuto in Pennsylvania, Zach lavorava a bordo di una nave, correndo sul tapis-roulant durante i periodi di navigazione.
Poi la sua vita cambia nel 2013. Quando il suo allenatore insiste e lo iscrive a una delle più antiche ultramaratone, la JFK 50 Mile.
Arriva da perfetto sconosciuto, e a sorpresa la vince. Sbarca nel mondo dell’ultrarunning. Da allora ha corso le principali gare al mondo, mantenendo inalterato il suo approccio.
Partire al massimo e poi accelerare, cercando di non scoppiare.
La sua umiltà e la generosità sportiva lo hanno reso uno degli atleti più amati dal pubblico. Acclamato nei suoi emozionanti sprint fino al traguardo dopo centinaia di chilometri (tipo questo all’UTMB 🚀).
Per conoscerlo meglio, nel 2021 Billy Yang, filmmaker statunitense, gli ha dedicato un breve documentario.
«Molti di noi hanno la percezione di quali siano i propri limiti. Ma a volte credo che siamo capaci di molte più cose di quelle che pensiamo. [..] Se puoi presentarti alla linea di partenza di una gara, o in altre occasioni della vita, e dire: ok non ho paura del fallimento, ci proverò e basta, posso non farcela ma sono disposto a provarci. Beh, questa è davvero una sensazione di libertà»
alla prossima,
Andrea
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Secondo me, che non pretendo di avere la verità in tasca, non è tanto un fatto di coraggio quanto di quel quid in più che alcuni hanno di prendere la vita un colpo e via mentre dentro altri ciò non si poteva, in altre parole è un discorso di vincenti e di perdenti. Grazie ancora, cmq, Andrea, perché se non provi, e se perdi ti rimarrà il rimpianto per tutta la vita. Francesco Leonori